Quando la guerra invade l’ordinario, cosa resta? Dove finiscono gli ideali, le parole e la morale? L’unico dramma teatrale scritto da Amélie Nothomb, diretto da Cristina Crippa, è un’appassionante parabola su un bene irrinunciabile: la capacità di ricordare, raccontare e immaginare insieme ad altri esseri umani. Interpreta la pièce un cast affiatatissimo: un “corposo e solido (e infaticabile)” Elio De Capitani è il professore universitario “col giusto spirito da intellettuale narcisista”, che divide casa sua con il giovane assistente, Daniel e Marina, amante di turno di Daniel. Fuori, una città presa d’assedio stretta dalla morsa del gelo. Per scaldarsi, i tre protagonisti innescano con graffiante ironia un sottile gioco intellettuale, un complicato distinguo fra buona e cattiva letteratura. Un gioco all’ultimo libro e all’ultima fiammata, “sottolineato con arguzia dalla regia di Cristina Crippa” (Sara Chiappori) prima di affrontare la morte sulla grande piazza coperta di neve.
«Messo in scena - con sobria incisività e una notevole penetrazione nella scrittura fintamente semplice della Nothomb – da Cristina Crippa, che rivela sensibilità e curiosità nei confronti di scelte drammaturgiche non ovvie, Libri da ardere può contare su un trio di interpreti affiatato, a partire da Elio De Capitani, che disegna con profondità e nevrotica, ironica immedesimazione il personaggio del professore al quale si contrappongono idealmente l’inquieta, disperata Marina, interpretata dalla brava Elena Russo Arman, e l’assistente scostante di Corrado Accordino, forse il personaggio più scettico di questo testo senza speranza ma mai melodrammatico».
«La vicenda è quella di un professore di letteratura, interpretato dal bravissimo Elio De Capitani, perfetto nei panni del suo cinico, colto, tromboneggiante e vile personaggio, del suo assistente Daniel, idealista ma non troppo, Corrado Accordino, della giovane allieva Marina, iconoclasta, anoressica, attanagliata dal gelo, la prima a ”soccombere” alla barbarie della guerra, cui dà vita con bel temperamento Elena Russo Arman. (...) Ma la domanda che il testo sollecita non è se in guerra la vita sia più importante della letteratura, bensì: l’uomo privato della ragione, dell’arte, del suo godere per una parola, un quadro, un tramonto, che uomo è?».