Uno spettacolo che fa onore a Teatridithalia e un ottimo testo, l’unico dato al palcoscenico dalla scrittrice belga, figlia di diplomatici e giramondo, Amélie Nothomb, adorata da Cristina Crippa che l’ha messa inscena con partecipe intelligenza insieme a tre attori – Elio De Capitani, Elena Russo Arman, Corrado Accordino – stupefacenti per adesione a una storia dove una guerra scandisce un intrigo di passioni alla Marivaux. Tanto aderenti, gli interpreti, che riscattano gli astratti furori del testo con umana verità. Si comincia con l’algido rigore logico del teatro della Sarraute e si finisce con le frementi interrogazioni di Camus. Inverno di guerra in un paese dell’Est. Fuori i «barbari», come nel «Deserto dei Tartari» di Buzzati. Freddo, desolazione nella casa di un professore (De Capitani). Marina (Elena Russo), allieva-amante dell’assistente del prof (Accordino) propone di bruciare quanto è rimasto per vincere il freddo: i libri. Trasparente parabola della vita che si rifiuta di soccombere, del «crollo dei valori» (i libri, la cultura): ma trattata come scontro di generazione e di linguaggi, antitesi fra la «finta» saggezza del prof e la fisica rivolta dell’allieva; con un triangolo sentimentale che coinvolge l’assistente, schermaglie sulla buona e cattiva letteratura quando si tratta di trasformare in combustibile la biblioteca. Si salva un libro, il Libro: e quando il prof decide di bruciarlo, Marina «va a spasso in strada, allo scoperto, per farsi uccidere da un barbaro». Interrompendo l’azione gli attori recitano le didascalie, con sottofondo di contrabbasso: efficaci scansioni a rafforzare l’ironia di questo testo nichilista. De Capitani conferma quanto ci ha mostrato sullo schermo nel «Caimano» di Moretti, di essere un grande attore; vibrano di ribellismo giovanile Elena Russo e Accordino.