Libri da ardere è un testo coinvolgente, ironico e dissacrante. Ha tutte le caratteristiche per le quali la sua autrice, Amélie Nothomb, è nota ed è ormai considerata una scrittrice di culto. Questa, al momento, è la sua unica opera teatrale, che da una parte è una dichiarazione d’amore verso la letturatura, e dall’altra un’acuta critica al mondo intellettuale, spesso ipocrita, che la circonda. Dopo la prima dell'estate scorsa ad Asti Teatro, la compagnia milanese del Teatro dell'Elfo ha appena debuttato con questo lavoro, Libri da ardere, per l’ottima regia di Cristina Crippa e con Elio De Capitani (semplicemente strepitoso), assieme ai bravi Elena Russo Arman e Corrado Accordino.
L'ambientazione è da fine del mondo: una città in guerra, da due anni sotto le bombe e assediata, è colpita da un inverno gelido. In una casa, ormai vuota perché ogni cosa è stata bruciata pur di produrre un po' di calore, convivono, o meglio sopravvivono, un professore universitario di letteratura, il suo assistente e un'allieva.
Solo l'enorme biblioteca è rimasta intatta. «L'inferno è il freddo» è la citazione di Georges Bernanos che viene adottata dalla giovane Marina per spiegare la disperazione nella quale si ritrova per via di quel gelo, contro cui non c'è rimedio. L'unico obiettivo della ragazza è trovare una fonte di riscaldamento, anche piccola. Per questo è disposta a tutto. La prima mossa è ovviamente quella di bruciare i libri, a partire dalla letteratura non buona per poi arrivare a quella migliore, attraverso un susseguirsi di dissertazioni letterarie durante le quali il famoso giochino «quale libro porteresti in un'isola deserta» viene ribaltato in “quale libro bruceresti pur di salvarti la vita”.
Amélie Nothomb si diverte arricchendo questo dramma con titoli di romanzi inventati e citazioni di autori inesistenti (tranne Bernanos, Marivaux e Bradbury). Lodando l’uno e stroncando l’altro, la scrittrice belga accende inevitabilmente la curiosità degli spettatori, che alla fine farebbero di tutto pur di poter leggere Il ballo dell'osservatorio, l'ultimo libro da ardere, quindi il migliore che sia mai stato scritto. Tutto il resto è scritto con un doppio registro. Da una parte la cinica e divertente ironia sulle miserie degli uomini (su cui si ride parecchio), veicolata per bocca del personaggio del professore, che permette a De Capitani di cimentarsi in un’interpretazione magistrale di un uomo all’apparenza solo, che ha vissuto intensamente il suo tempo, ma ancora passionale. Dall'altra la fine della speranza, il crollo del sogno, incarnato da una giovane, autodistruttiva e senza futuro. Fino al 18 marzo in scena a Milano, a Pavia il 27 marzo, a Cornaredo (Mi) il 28 marzo.