La guerra è gelo, fame, disperazione, è ridurre il pensiero umano al grado zero, e la guerra è il soggetto di Libri da ardere della belga Amélie Nothomb, portato in scena da Cristina Crippa. È solo cogliendone il senso metaforico che la commedia, intessuta di dialoghi serrati e divertenti, ma anche intellettualistici fino al limite del pretestuoso, acquista il suo peso.
I protagonisti della vicenda, ambientata in un Est Europa non definito durante una guerra non definita, sono un professore di letteratura, interpretato dal bravissimo Elio De Capitani perfetto nei panni del suo cinico, colto, tromboneggiante e vile personaggio, il suo assistente Daniel, idealista ma non troppo, Corrado Accordino, e la giovane allieva Marina, iconoclasta, anoressica, attanagliata dal gelo, la prima «soccombente» alle barbarie della guerra, cui dà vita con bel temperamento Elena Russo Arman. I tre decidono per sopravvivere di bruciare, dopo aver bruciato tutto il bruciabile, i libri – autori e titoli sono inventati – della biblioteca del professore con il quale coabitano in una situazione sempre più tesa e violenta. E per bruciare devono scegliere e quindi si lanciano in elucubrazioni sul senso della letteratura. Ma la domanda che il testo sollecita non è se in guerra la vita sia più importante della letteratura, la risposta sarebbe ovvia, bensì: l’uomo privato della ragione, dell’arte, dell’estetica, del suo godere per una parola, un quadro, un tramonto, che uomo è? L’uomo che per sopravvivere accetta di cancellare morale, sentimenti, senso estetico, è annientato, brutale e brutalizzato. Due sedie, una stufa e montagne di libri per una commedia che invita a riflettere profondamente su quel contenitore di male che è la guerra, per mai dimenticare brechtianamente che «un uomo dopotutto è un uomo, una bestia non è».