Davvero dovremo cominciare a considerare la presenza di Amélie Nothomb centrale anche in teatro. L’arrivo di questa giovane scrittrice belga al festival di Asti con Libri da ardere conferma la solidità di un talento drammaturgico che fa il paio con quello narrativo, abbondantemente testimoniato dai romanzi che, ormai da tredici anni, vengono pubblicati con un ritmo singolarissimo: uno ogni autunno. Anche il clima di Libri da ardere è comune a quello di tanti racconti: rovesciamento del senso storico, ambiguità delle azioni umane, crudeltà intrisa di paradosso.
Siamo in una città imprecisata e assediata dalla guerra. Non sappiamo chi combatte e contro chi. Sappiamo soltanto che la guerra produce distruzione, fame, freddo; la guerra è cecità e violenza, mette a nudo i bisogni primari e infierisce con l’impossibilità di soddisfarli. Nella devastazione, un professore di letteratura accoglie nella propria casa il giovane assistente Daniel e la sua fidanzata Marina. Durante la forzata convivenza, nella stanza ingombra di libri, prendono forma domande paradossali: se c’è la guerra, a che servono i libri?Quando si ha freddo, ha senso bruciare i libri per scaldarsi? E la sessualità, in condizioni disperate, non può essere un mezzo per prendere e infondere calore? E’ intorno a questi quesiti che si sviluppa un dramma il cui unico scopo sembra consistere nel denudamento della più segreta natura umana. E’ vero, ci sono i discorsi pessimistici sulla necessità della letteratura, e c’è quasi il bisogno di tirare in ballo, a mo’ di sfottò, una specie di Adorno da supermercato delle idee. Ma sono orpelli derisori. Il nucleo duro e amaro sta tutto nella visione di quel tanto di indifeso, di fragile, di vulnerabile che occultiamo con ostinazione.E la Nothomb ce lo lascia scoprire gradualmente, usando la suspense psicologica, lavorando di ironia e di sarcasmo, a volte di umorismo. Alla fine, dinanzi a quel che resta del terzetto, lo spettatore ha l’impressione di avere compiuto anche lui una scelta estrema.
Bell’impresa. La regia di Cristina Crippa l’affronta tra adesione e straniamento, inducendo Elio De Capitani (il professore), Corrado Accordino (Daniel) e Elena Russo Arman (Marina) a recitare anche le didascalie, bloccando l’azione scenica. E’ un’ulteriore sottolineatura dello spirito criticamente beffardo profuso dalla Nothomb, ed è un modo di variare utilmente il ritmo, lasciando poi ai tre bravi interpreti la mano libera nel dare ampio sfogo alle liti, alle pulsioni, alle contraddizioni e ai cedimenti dei reclusi, infagottati fino all’inverosimile in una calura degna dell’India di Kipling. Molti applausi.