Questa versione di Pasolini del celebre Miles Gloriosus è qualcosa di più di una semplice traduzione: è un rifacimento che attualizza l’universo plautino, traslando il contesto più che la parola del grande commediografo; o se si vuole una traduzione “artistica” che reinventa, inserisce personaggi popolari e di quartiere, concretizza un mondo fatto di macchiette creando un gioco teatrale parallelo a quello di Plauto. La pulsante vitalità del parlato rivive attraverso diversi livelli linguistici e stilistici: in primo luogo il dialetto, non quello ‘letterarizzato’ che troviamo in Ragazzi di vita e Una vita violenta, ma una sua forma mutuata dal Belli e poi mediata dal palcoscenico, dal variegato mondo dell’avanspettacolo.
«Che in Italia esista un teatro analogo a quello in cui fondava le sue prepotenti radici il lavoro di Plauto, è cosa da mettere senza esitazione in dubbio - scriveva Pasolini nel 1963 nel commento alla prima edizione del Vantone. Per che palcoscenico, dunque, per che spettatori traducevo io? Dove potevo trovare una sede dotata di tanta assolutezza, di tanto valore istituzionale? Nel teatro dialettale, sì, ma il testo di Plauto non era dialettale. Del teatro corrente ad alto livello, in lingua, mi faceva (e mi fa) orrore il birignao. Beh, qualcosa di vagamente analogo al teatro di Plauto, di così sanguignamente plebeo, capace di dar luogo a uno scambio altrettanto intenso, ammiccante e dialogante, tra testo e pubblico, mi pareva di poterlo individuare forse e soltanto nell’avanspettacolo. È a questo, è alla lingua di questo, che, dunque, pensavo - a sostituire il “puro“ parlato plautino. Ho cercato di mantenermi, il più squisitamente possibile, a quel livello. Anche il dialetto da me introdotto, integro o contaminato, ha quel sapore. Sa più di palcoscenico che di trivio. Anche la rima vuole avere quel tono basso pirotecnico, e nondimeno di protezione dell’aristocraticità sostanziale, della letterarietà di Plauto. Il nobilissimo “volgare”, insomma, contagiato dalla volgarità direi fisiologica del capocomico... della soubrette... (Ma nel fondo, a protezione della sua aristocraticità sostanziale, della sua letterarietà, ecco l’ombra dei doppi settenari rimati di una tradizione comica riesumata sotto il segno di Molière)».
Roberto Valerio, attore non ancora quarantenne, ha lavorato con i più importanti nomi del teatro italiano da Gabriele Lavia a Luca De Filippo, da Cesare Lievi a Massimo Castri, Umberto Orsini e Lina Wertmuller. Torna a collaborare con Teatridithalia in qualità di regista, riprendendo un percorso che era iniziato nel 2001 con Woyzeck e il futuro del male di Rocco D’Onghia e Bambole di Pia Fontana, proseguito nel 2002, nell’ambito del Festival dedicato a R.W. Fassbinder, con la lettura scenica di Per un pezzo di pane e nel 2003 con Le donne di Trachis, nella versione di Ezra Pound delle Trachinie di Sofocle. Recentemente ha anche curato per l’Associazione culturale Il Padiglione Ludwig Piagnistei di Berkoff, Il bicchiere della staffa e L’amante di Pinter, Lezioni di cucina di un frequentatore di cessi pubblici di D’Onghia e Intermezzi di Cervantes.