Plauto scrisse il «Miles Gloriosus» tra III e II secolo a.C., Pasolini lo traduce in dialetto romanesco nel 1963 per una messa in scena che si realizzerà nel novembre di quell’anno a Firenze dal titolo «Il Vantone».
Quello al Teatro Leonardo, in prima nazionale fino al 15 marzo (una coproduzione di Teatridithalia e l’Associazione Teatrale Pistoiese), è un Vantone rivisto, riletto, reinterpretato, anche dal testo di Pasolini, da Roberto Valerio, il giovane attore e regista uscito dalla Silvio d’Amico che già è stato diretto, fra gli altri, da Gabriele Lavia, Cesare Lievi, Massimo Castri e Lina Wertmuller: «di antico c’è pochissimo nel mio “Vantone“ -dice Valerio- per me lo spunto principale è stato Pasolini, io stesso appartengo a quei luoghi. A lui, però, ho aggiunto anche forti richiami a Molière, Belli, e allo spirito dell’avanspettacolo».
Siamo in una periferia romana, che è un territorio «vagamente analogo al teatro di Plauto, così sanguignamente plebeo», come scrive lo stesso Pasolini. Un bullo di periferia rappresenta il «padrone» plautino, che viene burlato dal suo stesso «servo», che cerca di far fidanzare sua moglie con un altro uomo. Ciò dà vita ad una commedia degli equivoci e delle truffe, degli scambi di persona e delle apparenze tradite. Quello di Valerio è uno spettacolo senza tempo, in cui il classico si mischia col contemporaneo, in cui il dialetto romano suona come una musica in grado di legare tra loro le varie azioni e sequenze. Quasi come cantassero, i bravi attori (Francesco Feletti, Massimo Grigò, Roberta Mattei, Michele Nani, Nicola Rignanese e lo stesso Roberto Valerio) si muovono sulla scena vivendo i vari momenti della commedia, di scambi di persona e di travestimenti, di nascondigli e di amori clandestini. Con Servillo e Orsini come luminari, quello di Valerio è un teatro veloce, movimentato, corale, in cui il gruppo riveste una grande importanza sia nella realizzazione degli spettacoli, sia nella divisione dei compensi, «prendiamo tutti la stessa somma», che, poi, nella diffusione al pubblico: «il taglio del Fus è un suicidio. Per far girare gli spettacoli servono soldi: ai grandi teatri non cambierà niente, saranno penalizzati i piccoli gruppi». E aggiunge: «non è creare lo spettacolo che costa, si può fare del buon teatro con niente. Però poi non gira, è quello il problema».