Un’enorme tenuta che va alla malora, un frutteto che una volta all’anno, nel mese di maggio, si copre di fiori bianchi e diventa “giardino”, simbolo di rimpianti, speranze e sogni. Ogni anno il ciclo delle stagioni si compie, e ogni anno il giardino ritorna giovane, ricomincia la sua vita. A contemplare questo miracolo per l’ultima volta, riuniti nella grande casa dell’infanzia, i personaggi della commedia non possono che scorgere su di sé, ognuno nell’altro, i segni del tempo che passa, il miracolo che su di loro non si compie, l’approssimarsi di una resa dei conti col proprio destino. Così nell’arco di un’ultima estate, si compie una vicenda fatta di nulla, ma che attraverso il chiacchiericcio inconsistente che copre la disperazione, attraverso pause di silenzio da riempire subito di risate o di lacrime, lascia intrasentire “il ridacchiare del tempo, quel galoppo da padrone”, lascia intravedere la ferite della vita che se ne va “senza averla vissuta”.
Con alle spalle i successi della stagione appena conclusa, torna in scena Il Giardino dei ciliegi diretto da Ferdinando Bruni, per un tour che impegna lo spettacolo nei primi mesi del 2008. Il cast dello spettacolo, quasi interamente riconfermato, comprende i nomi storici della compagnia: in primo luogo Ida Marinelli nel ruolo protagonista, Elio De Capitani in quello di suo fratello Gaev, e, per prima volta, Ferdinando Bruni nel ruolo del mercante Lopachin, oltre a Corinna Agustoni, Cristina Crippa e Luca Toracca. Accanto a loro quattro volti ormai di casanella conpagnia dell’Elfo - Elena Russo Arman, Alessandro Genovesi e Fabiano Fantini - e i nomi nuovi della giovane Angelica Leo, di Edoardo Ribatto e di Vittorio Attene.
Dodici attori, sotto l’attenta direzione di Bruni, mettono in gioco la coralità, la sensibilità e la maturità di un gruppo e delle sue singole personalità, nell’allestimento di questa commedia rarefatta, buffa e disperata che ha per protagonista il tempo e il suo trascorrere nella vita degli individui e del mondo. La regia colloca i quattro atti del Giardino dei ciliegi in una specie di limbo, l’antica stanza dei bambini, che è simbolicamente punto di ritrovo per la famiglia di Ljuba, fra oggetti concreti, ma carichi di valenze evocative: la lavagna con l’alfabeto cirillico-europeo, i tabelloni illustrati per imparare il francese (la lingua dell’aristocrazia, la lingua dell’esilio), gli uccelli impagliati, prigionieri di una vita artificiale, oggetti che piano piano andranno sparendo, recidendo legami col passato, fragili e malati, lasciando spazio alla durezza impietosa del presente o alle utopie luminose del futuro.