C’è stato a partire dal dopoguerra un vibrante periodo dedicato a scoprire e approfondire Čechov che in Italia andava di pari passo col grande momento della regia e si è poi spento. Ora, d’un tratto, una compagnia della seconda generazione come quella di Teatridithalia ci sforna un’edizione del Giardino dei ciliegi del tutto degna degli antichi livelli ma capace di leggere nel grande testo un’atmosfera non di riporto, senza i compiacimenti di ieri, calata nella durezza senza sotterfugi di scomposte solitudini di oggi, senza idealizzare queste figure divorate dalle loro piccole meschinità nel grigio trascorrere dei giorni, in un ligneo spazio chiuso che le incatena da un atto all’altro senza uno sbocco esterno e neppure un colpo d’occhio sui famosi ciliegi del giardino, che Visconti aveva voluto autentici.
Si sentiranno alla fine solo i colpi di scure che abbattono questo vanto della casa espropriata per debiti, a sottolineare un cambio d’epoca e di classi. Ma i giorni passano nell’antica stanza dei bambini percorsa da personaggi nostalgici e irresoluti, in preda ai loro tic di bislacchi che la regia passionale e rigorosa di Ferdinando Bruni sa rendere ritmicamente espressiva di un frastagliato accumulo di stati d’animo dandoci il senso di clausura di quelle parole e di quei gesti che s’infrangono contro i muri protettivi da cui tutti alla fine evaderanno verso l’ignoto, lasciando prigioniero il vecchio servo Firs, incapace di sopravvivere fuori. Degna delle storiche primedonne la splendida prova di Ida Marinelli accanto al maniacale fratello di Elio De Capitani e alla sensitiva Elena Russo Arman nella ricca collezione di caratteri di un grande emozionante spettacolo.