Elio De Capitani mette in scena Blasted, il testo d’esordio di Sarah Kane, scritto quando la drammaturga inglese aveva appena ventitre anni. Il prossimo anno si celebreranno i dieci anni dalla scomparsa di questa autrice che, dopo avere scritto cinque testi memorabili, rappresentati e discussi con grande eco in tutto il mondo, nel pieno di una forte crisi depressiva, nel 1999 si suicidò. Più che scadenza commemorativa, il decennale segna un tempo organico di riflessione, che nulla toglie all’incandescenza del testo, ma lo distacca dal clamore della cronaca e anche dagli equivoci del celebre debutto al Royal Court, in quel gennaio del 1995 che vide Blasted e la Kane sommersi da un’ondata di scandalo, di critiche sdegnate e feroci. Altrettanto deciso si alzò il coro delle voci di segno opposto, tra cui spiccavano quelle di Edward Bond e del premio nobel Harold Pinter, che già riconoscevano la forza visionaria della sua scrittura, collocandola tra gli autori più innovativi del ventesimo secolo. Bond scrisse infatti: «Mentre me ne stavo in un piccolo teatro gremito, nel bel mezzo di un soddisfacente allestimento di Blasted, ho capito che la realtà era cambiata. Blasted ha cambiato la realtà perché ha cambiato gli strumenti in nostro possesso per capire noi stessi. Ci ha suggerito un nuovo modo di vedere la realtà e così facendo la realtà cambia (…) possiamo rispondere o rifiutarci, ma in entrambi i casi definiamo noi stessi».
De Capitani medita da tempo sul teatro della Kane, già potentemente immaginifico in questa sua opera prima, che impone al regista, agli interpreti e agli spettatori un’esperienza teatrale di grande intensità e autenticità anche etica: «non c’è nulla di gratuito nella crudezza della Kane, nulla è osceno, tutto ha il segno del sacro che fa paura, della soglia che temiamo di avvicinare, ma alla quale osiamo guardare per scoprire l’orrore che altrimenti potremmo sperimentare sulla nostra pelle. Quante letture abbiamo fatto che ci hanno lasciato lo stesso segno profondo! Ma quando il teatro incarna la parola, il segno è ancora più inciso e l’esperienza ha un’evidenza lacerante, almeno nei casi felici in cui la messa in scena dà corpo all’immaginario dell’autore, al testo profondo e non solo alle parole. Voglio tentare un esperimento simile con Blasted: credo sia il momento giusto, per l’aria che sento tirare nel nostro paese e perché sono certo di avere gli attori ideali, disposti a tentare con me l’azzardo di questo viaggio».
Blasted ha un avvio realistico, all’interno di una stanza di albergo, dove Ian, un giornalista sui quarant’anni, razzista e arrogante, ha portato Cate, sua giovane ex amante. La ragazza ha accettato di seguirlo perché l’ha sentito disperato ed è lì infatti che Ian le confessa di essere condannato a morte da un cancro e braccato da misteriosi nemici. Non ha più nulla da perdere e vuole disperatamente il suo amore, ma proprio mentre queste richieste svelano tutta la sua fragilità, divengono via via violente: Cate viene aggredita verbalmente e fisicamente. E stuprata.
Mentre Sarah Kane stava componendo queste scene - nucleo della pièce allora incentrata solo sulla relazione di dipendenza e di forte squilibrio in una coppia - alla TV trasmettevano immagini drammatiche della Guerra in Bosnia. In particolare l’intervista a un’anziana donna di Sebrenica portò l’autrice verso un’intuizione inattesa: «Mi sono messa a pensare a quale sarebbe potuto essere il legame fra un comune caso di stupro in una camera d’albergo a Leeds e quello che stava accadendo in Bosnia. All’improvviso il dado era tratto, e mi sono detta: ‘Ma certo, è ovvio! Uno è il seme e l’altro è l’albero’. Credo che su larga scala sia possibile trovare il seme della guerra nella società in tempo di pace».
A questo punto la Kane decise di imprimere una forte virata all’opera, non tanto nell’intreccio - che vede un soldato irrompere nella stanza e replicare su Ian gli abusi prima inflitti a Cate, rievocando gli orrori della guerra in un crescendo di violenza - quanto nel passare dal realismo socio-psicologico di tanta tradizione teatrale a una forma molto più innovativa, che molti hanno definito surreale, espressionista e allucinata, una cifra originale che supera definizioni e paragoni. La struttura di Blasted (e fisicamente la scena stessa) viene scardinata, sia in senso letterale che metaforico, dall’esplosione di una bomba che fa irrompere la guerra nella stanza di Ian e Cate. Elio De Capitani e lo scenografo Carlo Sala hanno immaginato, seguendo questo percorso, uno spettacolo nel quale la teatralizzazione della violenza, mai gratuita e per questo mai elusa, si traduce in immagini visionarie. Vedremo la stanza d’albergo perdere progressivamente le connotazioni più realistiche: la devastazione della guerra oltrepassare le fragili pareti e penetrare all’interno del “rifugio” di Ian e Cate, fino a confondere in un incubo l’intimità dei personaggi e la realtà esterna. Il triangolo di sopraffazione e violenza tra Cate, Ian e il Soldato, diventa anche lo specchio di un disfacimento che riguarda noi e l’Occidente che rischia di implodere o sprofondare su se stesso un’ennesima volta.
De Capitani si avvale della traduzione di Barbara Nativi, che aveva fatto conoscere per prima Sarah Kane in Italia, rivedendola in alcuni punti ed evitando il titolo Dannati. Conserva il titolo originale inglese, Blasted, un termine che, seguendo le indicazioni date dall’autrice, rivela anche molti particolari sulla genesi del testo: «Quando ho iniziato a scrivere, il significato principale di Blasted era Ubriaco, perché sapevo che avrei scritto una pièce su un uomo che era costantemente ubriaco. Poi quando ero a metà della scrittura, mi sono resa conto del fatto che era una pièce sulla guerra (‘to blast’ = esplodere, da ‘blast’ = veloce spostamento d’aria), e poi mi sono ricordata del blasted heath (la landa sferzata dal vento) in Re Lear. Infine, ultimo significato, ma di questo mi sono resa conto solo molto più tardi, è quello che ‘blasted’ è, in inglese, un’imprecazione molto leggera. Per me quindi il titolo è incredibilmente carico, ma non di un particolare significato morale o etico».
Lo spettacolo, che debutta ad Asti Teatro il 30 giugno e verrà ripreso dal 21 ottobre all’Elfo di Milano, ha per protagonisti Paolo Pierobon e Elena Russo Arman, attori legati da tempo all’attività del Teatro dell’Elfo, ai quali De Capitani ha pensato appena ha iniziato a meditare su questo testo, attendendo per poterli coinvolgere. Per il Soldato ha scelto invece un giovane attore alla sua prima collaborazione con la compagnia: Andrea Capaldi.