EDITORIALE STAGIONE 2004-2005
Il teatro fa bene. Leggere attentamente le istruzioni.
Quel che accade nel mondo lo sappiamo. Ogni giorno la pelle dell'uomo sperimenta l'orrore in una forma inedita: una piccola telecamera o una macchina fotografica digitale e l'intero pianeta diventa spettatore di un agghiacciante teatro-verità dove terrificanti "gesti autentici" sono al tempo stesso brutale messinscena simbolica.
Il dolore ci travolge, ci sommerge, si fa insopportabile. È anche vero però che di orrore in orrore, la ripetizione del gesto annulla pian piano la nostra capacità di percepirlo con lo stesso smarrimento della prima volta, perché la ripetizione aiuta l'oblio. Si può finire per non guardare più o per farsene una ragione. Ma non illudiamoci: da qualche parte l'uovo del serpente continua a schiudersi, anche se distogliamo lo sguardo e fingiamo di aver dimenticato.
E allora l'arte può apparire un vezzo anacronistico e confrontarsi con tutto questo “in quanto artisti” potrebbe anche portare a chiudere frettolosamente bottega. Ma, se si vive nell' idea che l'essere artisti non è altro che aprirsi all'umano senza illusioni e farne esperienza fino in fondo, forse si può essere tra coloro che sono disposti a non togliere lo sguardo.
"Cio' che mi scava il cuore è questa forza di morte che sta nascosta nell'universa natura", diceva Goethe.
L'artista ha da più di un secolo avuto l'accortezza d'invertire l'angosciosa riflessione e dire: cio' che scava nell'universa natura è questa forza di morte che sta nascosta nel cuore dell'uomo.
Il teatro della crudeltà di Artaud ci svela di nuovo la sua terribile intuizione: che altro è quella piccola telecamera se non il doppio del teatro. E cos' è il teatro allora, se non un luogo dove ci si può spogliare di ciò che è inautentico, per tornare noi stessi.
Il teatro fa bene. Non è un gioco e neppure una battuta. A teatro qualcosa accade: l'uomo continua a sforzarsi di essere umano, cerca di rappresentarsi in tutta la sua pericolante grandezza, cerca di resistere all'erosione di umanità, l'uomo cerca ancora, a volte riuscendoci, di essere semplicemente un uomo.
In questa battaglia il teatro ritrova la sua necessità e la sua funzione di testimonianza.
E la traccia di sangue che sgorga dalle nostre ferite, dalla nostra lotta disordinata e furente alla conquista dell'amore, della giustizia o di un brandello di verità lega la visceralità testoriana della Monaca di Monza alla lucida dissezione dell'enigma tragico del bellissimo Madre e assassina e alla crudeltà mortale della sottomissione amorosa di Come gocce su pietre roventi, che segna l'atteso ritorno di Fassbinder nel nostro cartellone. Ancora una volta l'amore è più freddo della morte, brucia chi lo tocca ma esige che, per essere vivi, si superi la sua prova.
È la stessa traccia che ritroviamo in Cara professoressa, che mette a confronto due generazione della russia post-sovietica, ugualmente smarrite di fronte all'ambiguità dei valori e della realtà.
Il teatro però è anche sghignazzo, risata, sorriso e leggerezza, così quel legame drammatico si stempera nel grottesco iperbolico dei massacri hooligano- terroristici degli irlandesi del Tenente di Inishmore o trova un felicissimo equilibrio tragicomico nella partitura shakesperiana del Mercante di Venezia.
In questi mesi di tragedia e di smarrimento abbiamo sentito il bisogno di ricorrere a Shakespeare per tre volte, dose necessaria per conservare il nostro equilibrio e il nostro buon umore: se il teatro fa bene, Shakespeare è un toccasana. Così il Sogno di una notte di mezza estate, rinnovato nel cast e nella scenografia, all'Elfo riscoprirà uno spazio elisabettiano e coinvolgente, per fare festa insieme e la riscrittura della Tempesta per voce, musica, automi e figure animate chiuderà la stagione shakespeariana con una riflessione inquieta sul tempo, sul perdono e sulla solitudine.
“I classici fanno bene”, potremmo anche dire, quando sono densi di contenuti che parlano di noi contemporanei, come ci propone anche l'A.T.I.R. con una riflessione sulla guerra che incrocia le Troiane all'Iliade, o come ci propongono Quelli di Grock con una sapida commedia-balletto di Molière, il Malato immaginario.
Infine vi ricordiamo il Viaggiatore incantato Marco Baliani che ripercorre per noi 15 anni del suo lavoro, e la Sud'Orazione del nuovissimo Davide Enia, che ci propone la sua versione estremamente personale del teatro di narrazione, con due pezzi già “classici”. E ancora l'universo del dolore individuale di Lola che dilati la camicia e quello di Quasi perfetta, due storie femminili portate dal caso a unirsi felicemente nella fase conclusiva del programma.
Il teatro fa bene si diceva.
Ma fa bene non solo perché ha il coraggio di guardare l'orrore negli occhi, ma anche perché ha la capacità di non restare pietrificato da quello sguardo, di trovare in sè la forza di liberarsene e di spingersi oltre, nella zona d'ombra tra incanto e disincanto. Verso il crinale sottile su cui cammina come un equilibrista l'artista di teatro.
Ferdinando Bruni e Elio De Capitani
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La stagione 2004-2005 |
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