La stagione 1999-2000


“Le parole nell'oscurità pesano il doppio”

La nuova scena inglese fa discutere. La Fura sale sul palco e provoca con il suo F@ust scandaloso. Ma è il nostro Raffello Sanzio che arriva in questi anni alle punte più estreme di crudeltà e di pensiero. Dunque, mentre il tempo di questo secolo va scadendo e mentre altri si attorcigliano agli stessi segni o sensazioni soltanto per gioco, un pezzo del teatro europeo diventa sempre più crudele e più vivo che mai.

Abbiamo praticato anche noi la nostra forma di crudeltà ma ora ne stiamo cercando le radici profonde. Quel che ci sembra nostro compito, oggi, è collegare gli sparsi frammenti di una drammaturgia in ebollizione, con il mondo circostante e la memoria.

Non è un compito, a ben pensare, ma un desiderio. Lo proviamo tutti i giorni. Conoscere, comprendere, capire. Per questo Eschilo, Shakespeare e Marlowe accanto a Camus, Pasolini, D'Onghia o Ravenhill. E per questo, di Ravenhill, un testo che parla del desiderio di far figli.

Il fatto è che la storia si è rimessa in moto e i suoi terremoti sono guerre e paci assai più veloci del lento e faticoso lavorio per l'unione. E il nostro pensiero non deve restar paralizzato, ma andare avanti non smettendo di elaborare, a ogni passo, tutto il lascito della memoria. Ci eravamo illusi ma dobbiamo guarire la nostra miopia tornando a riflettere sull'immenso patrimonio dell'arte e della cultura.

Non dobbiamo lasciare che dorma nei musei e nelle biblioteche, ma studiarlo per produrre nuovo pensiero, nuove intuizioni e nuovi strumenti. Questo patrimonio immenso lo considero come una sorta di “Torà profana” di tutta l'umanità che richiede un costante lavoro esegetico, generazione dopo generazione.

Per questo stiamo spostando il segno del nostro teatro dalle pure viscere al pensiero. ª stato questo il senso del lungo viaggio dentro Amleto come dentro il testo più maledetto di Fassbinder, I rifiuti la città e la morte.

Perché le bombe a Vukovar, a Mostar, a Sarajevo sono cadute con tanto accanimento sulle case più antiche, sulla biblioteca, sul ponte? Chi sparava a chi, in questa guerra di montagne contro le città, in questa guerra di saccheggio, “mascherata” da guerra tra etnie, che doveva necessariamente trasformarsi in una guerra contro ogni forma di cultura e di conoscenza.

Il grande inganno della semplificazione! La creazione degli stati etnici trasforma l'occidente nel miglior complice della pulizia etnica: bel guaio per mondo occidentale essersi fatto intrappolare dalla stessa ideologia dei saccheggiatori e dei distruttori di memoria. Un risvolto diversamente drammatico lo troviamo nella nostra vita di tutti i giorni: la brutale richiesta di semplificazione crea una nuova retorica dove la vita è una serie di brevi interventi frammentari a un talk-show. Per fortuna c'è il respiro dei libri e c'è chi sa scriverli.

A che servono allora le file ai musei, se non abbiamo imparato a capire i segni dell'arte. Il bello è il velo del pensiero e costa fatica crearlo ma anche ammirarlo nel poliedrico suo splendore. Che è anche quello del senso, a cui dobbiamo sforzarci di tornare. Non c'è salvezza per il mondo senza quella forma particolare di pensiero che è l'arte ma anche l'arte è perduta senza il pensiero.

Questa è la direzione del nostro lavoro in questa stagione e nelle altre due a venire: uno spostamento che riteniamo necessario in questa età della nostra vita e in questi anni della storia. Le parole al buio pesando il doppio.


Elio De Capitani - Milano, 7 settembre 1999



La stagione 1999-2000