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RADICI DI UN PROGETTO
"Noi siamo quel che facciamo finta di essere, sicché dobbiamo stare molto
attenti a quel che facciamo finta di essere". Kurt Vonnegut
L'anno che è appena passato è stato un anno intenso e bello. Siamo stati
assaliti dal pubblico, molti i nuovi spettatori nei nostri due teatri,
moltissimi i giovani. Sui nostri manifesti della passata stagione c'era una
frase di Peter Brook: "Se lo spettacolo non ti fa perdere l'equilibrio la
serata è squilibrata". Noi abbiamo perso l'equilibrio, contenti di
perderlo, ma abbiamo lottato contro il senso di vertigine che ci faceva
sembrare impossibile resistere alla velocità con cui il pubblico assaliva
le nostre strutture. Abbiamo dovuto aggiungere personale di cassa e al
centralino per poter rispondere alle nuove esigenze, alle mille telefonate
quotidiane, alla ressa al botteghino. Tutti gli spettacoli in cartellone
sono stati seguiti con un'intensità e con un interesse tale che era
impossibile uscire dai camerini senza fermarsi a parlare con persone del
pubblico che ci aspettavano per ringraziarci, congratularsi, conoscerci,
farci sapere la loro opinione. Abbiamo avuto un incremento di abbonati
superiore alle nostre aspettative. Molti nuovi abbonati sono giovani, hanno
meno anni di noi, ormai "adulti", ma anche del nostro teatro, l'Elfo, che
ha venticinque anni.
VENTICINQUE
L'Elfo è stato fondato nel '73 da Gabriele Salvatores e Ferdinando Bruni,
con un gruppo di amici, ragazzi più o meno ventenni, tra cui Cristina
Crippa, Luca Toracca e Thalia Istikopoulou.
Dopo qualche mese sono arrivato io e poi anche Ida Marinelli.
Corinna Agustoni si unisce a noi nel '75.
Ci siamo tutti ancora oggi. La nostra storia si intreccia con la storia
dell'altra Milano, la Milano "alternativa" nata all'inizio degli anni
settanta. Abbiamo vissuto gli anni della rivolta giovanile e sociale, anni
ricchi, anni di grandi mutamenti (anche contraddittori) della vita sociale
nei suoi più minuti aspetti. Abbiamo avuto la fortuna di trasformare le
nostre idee e le nostre speranze in vita e lavoro artistico autogestito.
Non siamo i soli, ma siamo tra i pochi che hanno mantenuto un aspetto
essenziale di quegli anni: il gruppo, quello che allora si chiamava il
collettivo. L'Elfo ebbe subito un successo generazionale travolgente,
culminato nelle ultime emozionanti dieci repliche a Milano delle Mille e
una notte organizzate assieme a Radio Popolare. Erano repliche speciali:
c'erano Moni Ovadia, Mario Arcari e tutto il Gruppo Folk Internazionale
che suonava dal vivo nello spettacolo. L'Elfo divenne un fenomeno
sociologico, il teatro simbolo di una generazione, totalmente estraneo ai
mondi interni del teatro: un fatto a sé.
VENTI
Era il '78, vent'anni fa. L'anno successivo sarebbe arrivata la sede:
l'Elfo di via Ciro Menotti. Fu un anno importante: lo stesso anno Fiorenzo
Grassi e Gianni Valle aprivano il Teatro di Portaromana. Prima di allora
l'Elfo recitava nei Centri Sociali (il vecchio Leoncavallo, dove avevamo
sede in uno scantinato, L' Isola e Santa Marta) e poi nei teatri
alternativi (il primo teatro alternativo di Milano, il Teatro Uomo - luogo
mitico della vita culturale di Milano di quegli anni aperto da Fiorenzo
Grassi-, ilTeatro Officina, ilTeatro Verdi e di nuovo ilTeatro Uomo, nella
grande sede di via Gulli, che oggi credo sia un autosalone).
Il teatro abbiamo imparato a farlo nel corso di quegli anni frenetici e
curiosi. Ci siamo imposti per "l' enérgia straordinaria" come ebbe a dirci
assai divertito Michel Piccoli vedendo il nostro primo Sogno. Non avevamo
misura né maestri che potessero darcela. Non è certo stata una scelta,
perché era l'unica strada praticabile allora. Con la tenacia della volontà,
abbiamo cavalcato gli anni settanta e attraversato gli anni ottanta senza
perdere il senso della spinta originaria che ci animava, ma anche cercando
di riflettere su noi stessi, sulla nostra generazione, sul mondo che
cambiava: da un punto di vista faticosamente autonomo e il più possibile
originale, entrando spesso in conflitto con la città, conil mondo del
teatro, con la critica teatrale e anche con il pubblico. L'Elfo è stato in
tutti questi anni a Milano un'isola di produzione indipendente, fuori da
tutti condizionamenti: abbiamo difeso la nostra autonomia con ostinazione.
Qualche volta ci siamo trovati molto soli, isolati, rimproverati e poco
incoraggiati. I riconoscimenti, i risultati e i premi, sono arrivati - come
spesso capita - un po' in ritardo.
IL PRIMO SOGNO
L'Elfo, dapprincipio e per molti anni, fu una tribù, un clan. E divenne un
crocevia per decine di giovani artisti. L'anno critico fu il 1982, la
decima stagione. Il successo straordinario del nostro primo Sogno - il
musical - costò crescenti tensioni interne, esasperate da litigi perenni.
Ci mise lo zampino anche uno scritturato particolare, allora sconosciuto ma
non meno provocatore e attaccabrighe del personaggio attuale: la sua
permanente guerriglia competitiva con il resto della compagnia fu uno dei
segnali che andava sconvolgendosi l'equilibrio decennale della nostra
tribù. Finiva un'epoca, nel bene e nel male. L'Elfo esplose al suo interno
e allo stesso tempo si aprì all'esterno.
Salvatores fu affiancato da altri registi del gruppo, entrarono nuovi
attori. Per un periodo ci fu un secondo nucleo di attori targati Elfo - il
gruppo creato da me nel 1982 per il mio primo spettacolo Nemico di Classe :
Antonio Catania, Claudio Bisio, Paolo Rossi (anche Riccardo Bini e
Sebastiano Filocamo che restarono solo per due stagioni).
Poi si aggiunsero Gigio Alberti, Silvio Orlando e
Bebo Storti per Comedians di Salvatores.
Questo secondo nucleo divenne la
tribù di Salvatores e lo seguì quando Gabriele lasciò la direzione
dell'Elfo per dedicarsi al cinema.
Nacque allora un nuovo Elfo, che durò fino al 1992. Fu l'Elfo della fase
impressionista (di cui è emblema Il lago, creazione affascinante e
discussa, del 1984/85) e della successiva fase espressionista, nel nome di
Fassbinder (Petra Von Kant e Bottega del Caffè). Ferdinando Bruni descrive
la nostra evoluzione di quel periodo come "una sorta di percorso circolare
che avevamo iniziato lavorando su Čechov e sui rapporti fra attore-persona
e attore-personaggio, dopo aver attraversato le secche dell'afasia con
Doppio senso, che approdava, grazie all'incontro con la scrittura di
Fassbinder a un'idea di interprete diverso, che si fa carico di
"rappresentare", non "essendo", ma che proprio "rappresentando" "è"
attraverso l'esibizione necessariamente impudica della persona-attore cui è
dato il compito di raccontare emozioni altrui, di incarnare conflitti
d'altri, di esplorare altre logiche ma che non è mai, nè deve fingere di
esserlo, altri che se stesso..."".
Prese corpo l'idea di creare un repertorio stabile della compagnia in
cui inserire gli spettacoli migliori per poterli replicare negli anni, uno
strumento strategico per superare l'occasionalità frettolosa del teatro
all'italiana e per permettere la creazione di un lavoro sull'arte del
teatro in cui usare la drammaturgia contemporanea senza però perdere di
vista l'idea di creare - in prospettiva - un vero ensemble., una vera,
grande compagnia stabile.
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La nostra storia 1973-1998 |
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