Con quella che è l’ultima apparizione corale del gruppo storico dell’Elfo nella sala di Via Menotti, prima del trasferimento al Puccini di Corso Buenos Aires, si può assistere, per chi non lo avesse già fatto nelle passate stagioni, o ancor meglio rivedere, un grande classico in una grande messinscena. La firma dello spettacolo porta il nome di Ferdinando Bruni, che oltre alla regia firma come coprotagonista, nel ruolo di Lopachin, un’ottima prova attoriale. Ma è la compagnia tutta a dover essere elogiata, e subito. Dalla sempre versatile e precisa Ida Marinelli (Ljubov) a Elio De Capitani, nel ruolo dello svagato fratello Gaev. E sono da citare anche gli altri nove, a completare una splendida «dozzina» di attori, con un elogio comune e dovuto. Sono: Elena Russo Arman (Varja), Angelica Leo (Anja), Luca Torlacca (Piscik), Cristian Maria Giammarini (Trofimov), Cristina Crippa (Duniasha), Nicola Stavalaci (Epichodov), Corinna Agustoni (Charlotta), Fabiano Fantini (Firs) ed Edoardo Ribatto (Jasha).
Interessante è, innanzitutto, la scelta registica di Bruni di ambientare tutta la commedia nella «stanza dei bambini» riducendo gli atti da quattro a due (anche se due brevi chiusure di sipario onorano la tradizione). Ma ancor più affascinate è la tonalità tutta che, per la già citata bravura degli attori, emerge da questa lettura. Nell’enorme tenuta che viene venduta per far fronte ai debiti si vivono due cambiamenti, sociale e psicologico. La Russia di inizio secolo (la pièce, ultima opera di Čechov, è stata scritta nel 1903), con i suoi rapidi cambiamenti (l’«emancipazione dei servi» è del 1861) anche se non ancora rivoluzionari, e la decadenza dell’aristocrazia che lascia il posto alla nascente borghesia. Tutto questo Bruni lo evidenzia in una messinscena realistica, corale, che privilegia, e piace, l’inadeguatezza della «vecchia» aristocrazia di fronte ai mutamenti della società.
«Il giardino dei ciliegi», di Anton Čechov, regia di Ferdinando Bruni. All’Elfo fino al 4 gennaio.