23 novembre 2006, Il giorno
Il «Giardino» di Bruni: un classico della memoria sulla vecchia Russia
di Ugo Ronfani

Con «Il giardino» di Čechov (1903), che Ferdinando Bruni cura con impegno per la regia e le scene, Teatridithalia passa dal teatro di risentimento a un classico della memoria: una svolta condotta nel rispetto del testo che è una prova di maturità. Ha poco senso fare confronti con le due famose edizioni di Strehler del '55 e del '74: ogni generazione deve poter rileggere in autonomia i classici.

In questa edizione, ad esempio, sono scomparsi gli indugi estetizzanti di Strehler nella «stanza dei bambini»; si calca sul pedale ideologico del crollo della vecchia Russia con toni espressionisti nel tessuto naturalista e stanislavskiano (soprattutto con De Capitani, che ben tratteggia l'apatico bon vivant Gaev); si cancellano momenti «gorkiani» come la scena del mendicante, e la tristezza del tempo che passa, in crescendo finale, è affidata ai suggestivi effetti sonori di Filippo Del Corno. La trama «fatta di nulla» del ritorno da Parigi dell’aristocratica Ljubov (Ida Marinelli, tutta cangianti inquietudini), mentre il mercante Lopachin (Paolo Pierobon, di vitale intraprendenza) astutamente aliena la proprietà, il mitico giardino compreso, si colora delle puntuali caratterizzazioni (in certi casi da interiorizzare meglio) dei 12 attori, in particolare quelle di Torraca (un Piscik con la barba di Tolstoi), Corinna Agustoni (Charlotta), Angelica Leo (Anja), Vittorio Attene (Trofimov), Laura Ferrari (Duniasha).