Godono di un raro privilegio le commedie di Čechov. Non solo incantano, ma si direbbe rispondano ad una necessità dell'anima. Come dimostra anche questa nuova, vibrante edizione de Il giardino dei ciliegi, in scena fino a domenica prossima al Teatro dell'Elfo a Milano. Pièce curata con eleganza, anche se resta su binari tradizionali, tra realismo e vaudeville, da Ferdinando Bruni per la bella, affiatata compagnia milanese dei Teatridithalia.
Un'edizione dove c'è movimento e libertà corretta di identificazioni personali: cioè significativa coincidenza anagrafica tra le biografie degli interpreti e quelle dei personaggi. E dove tutto funziona bene nella grande scena non più sovrastata, come quella della storica versione dataci da Strehler, da quell'immenso candido velano che un palpito improvviso tramutava nell'immagine delle chiome fonte dei ciliegi, ma riempita di oggetti concreti carichi di valenze evocative che alla fine dopo aver destato tanti ricordi scompariranno. In un luogo, una stanza di bambini, che è punto di ritrovo, di incrocio dei molteplici personaggi che respirano, amano, soffrono nella storditezza di memorie infantili e nella pochezza dei sentimenti. Personaggi fragili, indecisi o inaffidabili.
A cominciare da colei che è la padrona di casa, la fatua e piagnucolosa Ljuba Andreevna, che passa la vita viaggiando verso Parigi, senza accorgersi, così come il fratello Gaev (figura soave e tragica, il cui vuoto esistenziale è da Čechov tratteggiato mirabilmente) che una nuova epoca sta per iniziare. Che la scure, che presto si abbatterà sui ciliegi del suo bellissimo giardino segna un destino di distruzione non solo del privato ma di una classe giunta al proprio capolinea storico. Il vincitore, senza resistenza alcuna, risulta Lopachin, l'uomo nuovo, il rappresentante, il simbolo di una borghesia in ascesa.
Sostiene Ida Marinelli il ruolo della protagonista con pulizia e varietà di toccanti atteggiamenti. E di una dolce, quasi comica abulia, investe, morbido e stralunato, il suo Gaev Elio De Capitani, sulla scena dell'Elfo a risultare il migliore. Quanto a Paolo Pierobon è un Lopachin di intensità e misura incisive.
Non mancano di efficacia gli altri, tra i quali da segnalare la fresca Angelica Leo nel ruolo di Anja ed Elena Russo in quello di Varja. All'anziano Fabiano Fantini il compito di vestire con proprietà i panni del vecchio, commovente Firs.