30 ottobre 2008 Libero
“BLASTED” OSCENO E STUPENDO
IL TEATRO È SENZA LIETO FINE
di Luca Marchesi, Milano

Se si vuole andare a teatro e passare due ore piacevoli, sentendo qualche attore – fine dicitore, non è qui che si deve andare. In scena al Teatro dell’Elfo, c’è “Blasted”della britannica Sarah Kane, suicidatasi nel 1999 a ventotto anni. Lo spettacolo è un apologo sullo stesso tema di “Arancia Meccanica” di Burgess. Kubrick: la violenza. Medesima è la prospettiva, assolutamente non socio-psicologica. Ora, però, siamo 30-40 anni dopo quel libro e quel film, i gesti che esprimono violenza sono assai più forti e l’allestimento di De Capitani non ce ne risparmia uno. Cannibalismo, necrofagia, stupri, sodomie, umiliazioni e atti sessuali volti esclusivamente all’offesa. E per di più siamo a teatro, dal vivo, con ricercate amplificazioni di rantoli, grugniti e lamenti. L’uomo secondo la Kane è essenzialmente uno stupratore bestiale, e l’autrice ha voluto costruire una serie di situazioni-limite non realistiche (si passa da una stanza di albergo a uno scenario di guerra) per mostrare come in questi frangenti l’uomo, inteso soprattutto come maschio, dia il peggio di sé.

Qualche spettatore non ha retto all’esibizione di tanta ferocia e, dopo la prima mezzora, quando lo spettacolo ha cominciato a proporre azioni veramente disturbanti, si è allontanato. Ma se si ha lo stomaco, “Blasted” è da vedere. E non per la bella regia, o per la prestazione superlativa dei tre attori, o per la cangiante scenografia; ma proprio per quello che il testo propone, nella sua oscenità ed efferatezza. “Non mi piacciono i film violenti – aveva detto l’autrice – E non mi piacciono le pièce violente e il motivo è che non mi piace la violenza, e quando mi capita di guardare “Le Iene”, “Pulp Fiction”, o qualunque film di quel filone, mi sento come se mi venisse usata violenza”. Quello che sorprende è che questa asserzione è coerente. Nello spettacolo non c’è compiacimento. Certo, bisogna reggere l’orrore, e a qualcuno verrà in mente anche l’“orrore” del colonnello Kurz-Marlon Brando in “Apocalypse now” di Coppola. Qui, per così dire, il discorso è filosofico: si mette a fuoco una pulsione fondamentale dell’uomo, e si punta direttamente al problema. Facendo vedere e sentire la violenza, perchè vedere e sentire non è la stessa cosa che sentirne parlare e basta. Nel finale si assiste all’unico gesto di dolcezza di tutto lo spettacolo. Ma, dopo quello che si è visto, proprio non si riesce a parlare di happy end. Rigorosamente consigliato ad un pubblico adulto.