Invisibili, inquietanti cavalieri dell'Apocalisse incombono nel cielo di New York nella lunga, bellissima, pièce di Tony Kushner «Angels in America» dal sottotitolo «Fantasia gay su temi nazionali» ambientata negli Usa degli anni 80. Sono gli angeli dell'Aids dell'America reganiana, come scrive l'autore, «vittima di attacco reazionario contro il progresso, più forfe, compatto e riuscito di quello operato da McCarthy negli anni Cinquanta». Intolleranza, razzismo, corruzione politica, cinismo sono segni dello sfaldamento della società e l'Aids diventa metafora di questo disfacimento che ha colpito non solo oltre oceano. Tra visioni e allucinazioni, tra nudi muri su cui vengono proiettati panorami, cieli tempestosi, fiamme, con pochi elementi a evocare i molti ambienti in cui si sviluppa il dramma, Ferdinando Bruni e Elio De Capitani hanno portato in scena in uno spettacolo emozionante fluido, aspro e crudo, commovente, significante e inventivo, i primi tre atti dell'epopea di Kushner, nella quale si incontrano e si scontrano religioni, culture, etnie, uomini che faticano a trovare se stessi, affondati nello sgomento. Prior colpito dall'Aids e abbandonato dal suo compagno Luis per paura. Joe che combatte con la sua omosessualità e Harper la moglie insoddisfatta e impasticcata, Roy il cinico uomo di potere corrotto e corruttore per il quale esiste solo la vita pubblica e poi una giostra di varia umanità interpretata dai bravi attori della compagnia tra i quali uno strepitoso De Capitani, un Roy di grande impatto, Elena Russo Arman, Ida Marinelli che ben gioca su ruoli maschili e femminili, Cristina Crippa, Cristian Giammarini, Edoardo Ribatto. Gli incubi e le allucinazioni di tutti culmineranno nella visione dell'angelo vendicatore che forse riuscirà far cadere i muri dell'indifferenza, dell'intolleranza, della volgarità, del cinismo.