7 maggio 2007 L’Unità
TEATRO Visionario e toccante l’allestimento del testo di Kushner: dove il male è sintomo di ideali castrati da autoritarismi e affaristi
«ANGELS IN AMERICA» NELL'INFERNO DELL'AIDS
di Maria Grazia Gregori, Modena

Sarebbe banale oggi, a quasi sedici anni dalla sua andata in scena, considerare Angel in America, straordinario testo del pluripremiato Tony Kushner, «semplicemente» come un dramma sull’Aids. Certo le due parti della fluviale opera – Si avvicina il Millennio e Perestoijka – sono un vero e proprio viaggio a stazioni vissuto dall’interno dentro la peste della nostra epoca, una discesa agli inferi nel dolore e nella sofferenza. Ma quello che ancora oggi rende così forte e contemporaneo il suo messaggio non è solo il permanere dell’Aids come malattia, quanto la malattia assunta a metafora della società, sintomo di disgregazione, perdita di uno sguardo solidale sul mondo. L’Aids, che allora sembrava riguardare solo omosessuali e tossicomani, rappresentava per l’autore la putrefazione degli ideali liberatori della vita americana castrati dall’autoritarismo di Regan e di Bush padre, dell’affarismo più rampante e più squallido dove il rifiuto della diversità intrecciava (succede ancora oggi) saldamente politica, anatema religioso e affari di una società in ci solo i ricchi avevano accesso alle cure che invece non toccavano agli ultimi, ai dannati della terra”.

È questa attualità, oltre al fascino teatrale di un’opera visionaria come Angels in America dove tutto viene mostrato senza falsi pudori ma anche senza facili realismi, che ci cattura e ci fa riflettere, ci commuove e ci inquieta. Proprio da qui, credo, sia partito il Teatro dell’Elfo, che lo produce con Emilia-Romagna Teatro e che ha messo in sena alle Passioni di Modena in un coinvolgente, spiazzante spettacolo, la prima parte del testo di Kushner. Per lo storico gruppo milanese ancora uno sguardo politico su realtà nascoste e fiammeggianti in un approccio severo e forte, costruito con semplicità ma anche con profondità nella casta scena di Carlo Sala. Un merito che tocca in eguale misura agli interpreti e alla regia illuminista ma anche carica di sentimento firmata a quattro mani da Ferdinando Bruni e da Elio De Capitani che interpreta da par suo il ruolo di una carogna storico, l’avvocato Roy Cohn, anche lui condannato a morte dall’Aids, responsabile, in un’epoca buia come il maccartismo che dilaniò gli Stati Uniti, di infinite nefandezze fra cui la morte sulla sedia elettrica dei coniugi Rosenberg accusati di essere spie dell’Unione Sovietica, in realtà «colpevoli» solo di essere comunisti.

Fra immagini di vita e di inaspettati big bang, proiettati sulle pareti della scena che avvolgono i protagonisti nelle mitologie dell’America, ma anche nella paura della morte e la difficile accettazione di una malattia vissuta come estremo contagio, ci sono l’amore di Prior e di Louis (con sensibilità e bravura Edoardo Ribatto e Umberto Petranca) che vive il disfacimento del proprio sentimento insieme a quello del corpo, le allucinazioni da Valium di Harper (un’incisiva Elena Russo Arman) alla quale tocca anche la rivelazione dell’omosessualità del marito di cui Cristian Maria Giammarini dà una caratterizzazione molto convincente. Ma tutti, da Ida Marinelli a Cristina Crippa, ci mostrano un mondo in cui le previsioni di Regan sembrano trovare la loro realizzazione nell’America di oggi di Gorge W. Bush. Malgrado tutto ci conforta pensare che l’angelo che appare alla fine e che abbatte i muri dell’ostracismo non vola in un altrove ma vive nel cuore, nella coscienza di noi tutti, cittadini di un millennio già cominciato.