13 Maggio 2007 Corriere della Sera
«Angels in America» messo in scena da Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani
OLTRE LA STORIA DI QUATTRO AGONIE
di Franco Cordelli

Perduto sulla via Emilia, lontano da Modena, rimedio un passaggio e, in lieve affanno, conseguo il Teatro delle Passioni. Non è lo stato d’animo migliore per assistere a una maratona di quasi quattro ore: Si avvicina il millennio, prima parte di Angels in America, messo in scena da Ferdinando Bruni e Elio De Capitani.

Il testo di Tony Kushner è del 1990; ed è del 2004 il film di Mike Nichols con Al Pacino. Cito il film di Nichols perché dalla prima scena De Capitani, nella parte dell’avvocato Roy Cohn, colui che nel 1952 spedì sulla sedia a rotelle i coniugi Rosenberg, si diverte a gareggiare con Al Pacino, subito ponendo un problema: non solo chi sia più bravo, più gigionesco, più cattivo; ma cosa sia la cosiddetta copia rispetto all’originale; e che cosa sia il teatro che nasce come teatro, diventa cinema, e torna ad essere teatro. È un problema non incidentale. Riguarda la performance di De Capitani e, con essa, l’intero spettacolo, che si vuole rigorosamente teatrale (si svolge in uno spazio vuoto) e, nell’uso di effetti speciali, vistosamente cinematografico. D’altra parte la commistione dei mezzi tecnici e degli stili – da quello della recitazione psicologico-naturalistica a quello barocco delle visioni, sogni nel caso degli uomini, tutti omosessuali; allucinazioni nel caso di Harper, l’eterna moglie americana, insoddisfatta e impasticcata – questa commistione è l’essenza sia formale che concettuale del dramma di Kushner. Nel senso della forma per Bruni-De Capitani è una pacchia, un vero tripudio: sono a casa loro, sembrano i committenti del testo, spasmodico e appassionato, poi finito al cinema e in televisione.

La faccenda è più complessa dal punto di vista tematico-ermeneutico. Il sottotitolo del dramma è «Fantasia gay su temi nazionali». Rimuginando sul titolo e sottotitolo si potrebbe dire che ciò a cui ho assistito è la storia di quattro agonie. Nel flusso seriale di un testo per più versi simile a Strano interludio di O’Neill – ai pensieri dei personaggi, che corrono paralleli alle parole dette, quasi subentrano le loro visioni – agisce sotterranea una doppia simmetria.

Stanno morendo di Aids (siamo nel 1985) Prior, il buon Prior, e l’orrido Roy Cohn. Ma stanno morendo anche un tempo (un millennio) e un luogo (gli Stati Uniti). Ovviamente la dizione «temi nazionali» rimanda a Stati Uniti. Il termine «fantasie» illustra questa peculiare apocalisse, questa rivelazione: ho parlato in modo generico di barocco, ma meglio dice Prior nell’ultima battuta quando gli appare l’angelo ed esclama che è «molto Steven Spielberg». A tanto si è ridotto l’angelo di Giacobbe, l’unico che sia nominato nel testo! Con questo angelo, cioè con la malattia, se la vede un Giacobbe involontario, il seminato-inseminatore (di cattiva circolazione) Prior che, come ogni profeta, vive fuori dal tempo (il vero Giacobbe è Joe, il marito di Harper in lotta con l’omosessualità).

Non con un angelo ma con un Convitato di pietra- Ethel Rosenberg se la vede Roy, il corruttore di anime e corpi per il quale non c’è altra identità che quella pubblica, vale a dire il potere che ognuno di noi detiene. Resta la parola «gay», gaiezza. Quanta gaiezza ha dietro di sé lasciato Prior, che s’era aperto alla vita? E quanta ne ha seminata Roy, che da esso si è nascosto? Il frutto delle loro gaiezze era gaia scienza o volontà di potenza? Era l’entusiasmo di vivere di cui parla Kushner o era la tristezza e violenza? Ogni atto d’amore (sessuale) è un atto violento. Nella sodomia, come vediamo in scena, ciò rende esplicito. Entusiasmo e malattia vanno insieme. Gli straordinari attori sono: Ida Marinelli, Elena Russo Arman, Cristina Crippa, Cristian Maria Giammarini, Edoardo Ribatto, Fabrizo Mattini e Umberto Petranca.