LE PRESIDENTESSE di Werner Schwab traduzione di Umberto Gandini, revisione di Roberto Menin (testo edito da ubulibri) regia di Elio De Capitani Corinna Agustoni Maria, Anna Coppola Erna, Cristina Crippa Grete scene e costumi di Andrea Taddei suono e musica di Jean-Cristophe Potvin luci di Nando Frigerio video di Francesco Frongia una produzione TEATRIDITHALIA prima nazionale Primo dei drammi fecali, Le presidentesse formalmente si presenta come una commedia tradizionale di conversazione. Tre donne, tre misere pensionate della nostra mitteleuropa, naufraghe della fede, abbandonate da Dio e isolate nel loro piccolo mondo conversano davanti al televisore che trasmette una messa papale. Parlano del più e del meno e la minestra riscaldata dei buoni sentimenti fa affiorare gli abissi delle loro autobiografie: matrimoni fallimentari, separazioni, lotta per la salvezza in questo mondo e nell'altro. La consolazione della fede e quella dell'alcol si alternano a scaldare il cuore e far dimenticare il dolore. Erna, interpretata da Anna Coppola, è l'eroina del risparmio che usa la carta igienica come filtro del caffè, porta il peso di un rapporto morboso e opprimente con un figlio alcolizzato, disgustato da se stesso e dal prossimo, che le nega la consolazione di un nipotino. Grete, la vedova allegra interpretata da Cristina Crippa, la prende con filosofia ma, pur sperando nei piaceri della vita, deve fare i conti con due matrimoni falliti e una figlia scappata in Australia per sfuggire il padre che "la castigava nel letto matrimoniale". Invece a Maria (Corinna Agustoni) pare che la vita abbia affidato una missione importante: l'universo è un gigantesco macchinario vitale, in cui si mangia e si caca, che necessita quindi di qualcuno che sturi i condotti intasati per farlo nuovamente funzionare; e allora c'è lei, l'estatica Mariuccia, la puliscicessi "che lo fa senza", a mani nude, perché non le fa per niente schifo. "La curiosità voyeuristica del seguire questi "deliziosi idioti", che sono i personaggi di Schwab, viene disturbata dal dolore e dalla passione che si scatena in questo supremo tentativo di trovare un accordo tra la filosofia minima della sopravvivenza e quella della salvezza eterna. I conflitti canonici delle pièce di conversazione creano in questo testo non solo tensione tra i partecipanti, ma una vera e propria escalation di dolore. La lotta per la redenzione della propria anima, tra salsicce e apparizioni della Madonna, è un gioco serissimo e la comicità di ogni situazione lasci man mano il terreno a una tragedia annunciata. Tutta la seconda scena è occupata da un sogno a occhi aperti delle tre donne in estasi: Erna sogna di essere salvata dal macellaio Wottila che ha le visioni della Madonna nel bosco e ha fatto voto di tenere la mortadella in sconto per tutta la vita; Grete immagina un corpulento suonatore di basso tuba che le assaggerà il solido didietro e alla povera Maria, messa in disparte dalle altre due, non restano che tre cessi intasati e i loro misericordiosi misteri... La terza e ultima scena aggiunge paradosso a paradosso. Una canzoncina sulla nullità della vita ci ricorda che tutto un sogno, teatro. Una liberazione semplicemente sofferta nel labirinto della recitazione e del linguaggio. La patria ideale di Schwab non è la scena ma il linguaggio. Le parole, date a prestito per scatenare l'evento teatrale servono a soffrire, a vuotare l'anima e tutto quello che ci sta dentro: il corpo. Alla fine si fa il conto: i cadaveri erano solo un evento di scena, un ritornello ricorda che nulla cambierà, un banale normal-end cancella gli orrori precedenti. Si può dire che Schwab sfrutti tematicamente questo meccanismo della circolarità in cui nulla cambia, si fa solo teatro, tutto alla fine si ricompone. L'assenza di cambiamento diventa espressione retorica della disperazione." (Dall'introduzione di Roberto Menin, Werner Schwab e i drammi fecali, ubulibri) Il sipario si apre sull'interno di una sala delimitata da scaffali colmi di oggetti d'uso quotidiano, "buone cose di piccolo gusto" come bambole, ninnoli, immagini sacre, ma anche scarpe, grembiuli, un orologio a muro e, irrinunciabili elettrodomestici, una televisione e un frigorifero. Ma le sembianze delle tre "desperate housewives" non lasciano dubbi: siamo lontani da un interno borghese naturalista, l'atmosfera è sospesa e le donne, rapite dal tubo catodico, sono grottesche nei loro eccessi fisici e verbali. Le preghiere papali e i notiziari riecheggiano nella sala: sono segnali del mondo esterno che arrivano distorti e stonati e contrappuntano tutto lo spettacolo, che dalla televisione prende l'avvio e su quella si chiude, con un finale spiazzante. Un testo crudele che tuttavia nella messinscena di Elio De Capitani - che guarda a Horvath, l'unica affinità elettiva ammessa anche dall'autore - rivela momenti di irresistibile comicità, portando alle estreme conseguenze le contraddizioni e nevrosi di queste tre eroine del quotidiano. Animate da una religiosità morbosa, infantile e mitica affrontano il mondo sospinte da opposti istinti: da un lato i bisogni più terreni, conditi da tormentoni scatologici, dall'altro le aspirazioni più sublimi (l'amore universale, la pace, il bene del prossimo); due dimensione che s'intrecciano con risultati schizofrenici ed esilaranti. Da questa dicotomia tra aneliti spirituali e richiami corporali è scaturita anche l'idea di introdurre un sottotitolo, assente nell'originale: la carne oltre il verbo. INCONTRO DI PRESENTAZIONE DELLO SPETTACOLO martedì 11 ottobre alle ore 18.30, presso il Forum Austriaco di Cultura a Milano, Piazza del Liberty, 8 (4° piano) |