È centrale in questa rilettura del mito di Giasone, della spedizione degli Argonauti e della tragedia di Medea, accanto al tema del tradimento, quello della guerra di conquista. Seguendo questa traccia nello spettacolo di Elio De Capitani le guerre di ieri e di oggi si materializzano nell’inusuale paesaggio scenografico e riecheggiano nelle suggestioni di una fitta colonna sonora. Il canto ancestrale di Francesca Breschi richiama Medea, interpretata da Cristina Crippa; la maga ripete riti di vendetta, lottando con Giasone, che si sdoppia nelle interpetazioni di Cristian Giammarini e Fabiano Fantini. Immagini di infiniti soldati di infinite epoche popolano i video di Francesco Frongia.
L’invenzione scenografica più sorprendente di questi tempi è quella che Carlo Sala ha ideato per i tre testi di Müller. Una vera area paludosa, però ricostruita con minuzioso iperrealismo all’interno del teatro. Le poltrone del pubblico si riducono a poche file, quasi compresse contro la parete di fondo. Tutto il resto dello spazio è invaso da un impressionante paesaggio lacustre, con ampie pozze d’acqua stagnante, ponticelli, isolotti, cespugli, alberi che si affacciano dalle sponde, umidi strati di foglie che ricoprono il terreno e sui quali bisogna necessariamente passare per raggiungere i propri posti. Nella fitta vegetazione s’intravedevano alcuni oggetti abbandonati, una carrozzina da neonati, una vecchia porta, un baule e le amache dei bambini, che Medea massacra nella sua furia vendicatrice, e più in là, come rovine in una giungla, i resti di un’armatura di un gigantesco guerriero, o della sua statua metallica.
Questa Medea è anche una vera opera musicale, grazie a Francesca Breschi che qui riversa l’esperienza e la ricchezza accumulata in tanti anni di lavoro con Giovanna Marini. Una partitura composita e suggestiva che fa volare le parole di Müller sui suoni di materiali folklorici dell’est europeo, così come su citazioni che spaziano da Arvo Pärt a Luigi Nono a Jimi Hendrix. La stessa Breschi è la nutrice, mentre Medea ha le pieghe rauche e gli acuti di Cristina Crippa, che interiorizza il personaggio fino a rendercene corresponsabili.
La terza scena Paesaggio con Argonauti è tra le più efficaci comparazioni di passato e presente (e questo spiega i due Giasoni) in tema di guerra: una tra le meno retoriche. La pena, la perplessità, la stanchezza si mescolano all’indignazione e alla pietà. De Capitani ci offre non già gli esiti di una riflessione, ma l’azione (talvolta lacunosa, talvolta illuminata) del riflettere. Uno spettacolo pieno di coraggio e di dignità, con tante parole dette e tante altre che si agitano ancora sotto il fango, ma che usciranno, a meno che un’ultima catastrofe non ricopra tutto, definitivamente.