Dramma familiare ricco di spunti paradossali, Le Muse Orfane ricostruisce i conflitti di un passato che, pur essendo comune ai personaggi, si rifrange attraverso i loro diversi punti di vista, generando una molteplicità di menzogne, gelosie, ripicche, confessioni e colpi di scena. Mescolando tragico e grottesco, in un gioco teatrale divertente e crudele, Michel Marc Bouchard, uno degli autori di punta del teatro canadese, s’interroga senza censure e pregiudizi sulla più grande fatalità della vita: la nostra famiglia, la nostra genesi. Pur se poco rappresentato in Italia, Bouchard vanta oggi una vasta produzione di autore teatrale, iniziata negli anni ottanta, che lo pone al centro della scena contemporanea. I suoi testi sono tradotti e rappresentati in tutto il mondo e le sue opere, benché legate alla terra d’origine, si aprono ai grandi temi dell’attualità, quali l’identità sessuale e la crisi dei valori familiari.
Nicola Russo, alla sua terza prova di regia, immagina questo spettacolo come un gioco infantile e crudele, dando vita a un lessico intimo, verbale e fisico, attraverso cui le tre sorelle e il fratello riescono a relazionarsi. Fa da contrappunto alle loro isterie e ai loro slanci d’affetto un fantasma dell’infanzia, l’amante spagnolo della madre che, alla chitarra, commenta i loro movimenti e le loro personali rappresentazioni.
Il testo (pubblicato in Italia da ubulibri nel volume Il teatro del Québec) è stato rappresentato per la prima volta a Montréal il 7 settembre del 1988. L’autore, in occasione di questa prima italiana, ci ha inviato queste righe per raccontarne la genesi: «Sono stato costretto molto presto a prendere posizione nei confronti della società in cui vivevo e della sua mentalità ristretta, dove regnavano l’oppressione e il giudizio contro chiunque osasse affermare la propria diversità e le proprie ambizioni a una vita diversa da quella del clan. Nelle Muse orfane, il personaggio della madre appartiene a questa tipologia di emarginati, al contrario di sua figlia Catherine, responsabile dei fratelli, che si aggrappa disperatamente ai valori del mondo antico per paura dell’ostracismo da parte della società in cui vive. In compenso, il risentimento e il senso di colpa che la animano, la rendono vittima del suo paese e tiranno della sua famiglia. Io porto nel sangue le tracce di questa violenza, così cerco di essere sincero, di parlare solo di quello che ho visto, ascoltato, vissuto. Mi rendo conto che la mia scrittura vive una tensione costante tra i valori del vecchio e del nuovo mondo».