Alessandro Genovesi - attore milanese impegnato sui palcoscenici dell’Elfo, del Teatro i e dell’Out Off - ha vinto con Happy Family, suo primo testo teatrale, il riconoscimento speciale della giuria al Premio Riccione Teatro del 2005. Dopo una lettura scenica (andata in scena il giugno scorso) che ha divertito e commosso senza riserve, Teatridithalia ha scelto di produrlo e di proporlo come terzo e ultimo titolo di PRIME OPERE, il progetto rivolto alle nuove generazioni di autori e registi, inaugurato a inizio stagione con Le muse orfane, diretto da Nicola Russo, e con Le scale del Sacro Cuore, diretto da Lorenzo Fontana. Collaborano alla realizzazione dello spettacolo la Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi (sono allieve della scuola le attrici Manuela De Meo e Marta Iagatti e l’assistente alla regia) e, per l’allestimento scenografico, Trediciottanta che presta gli arredi grazie a un’inedita formula di “merchandising”.
Happy Family «una confessione camuffata, un diario mascherato, una commedia che parla della paura di diventare grandi, di cambiare la nostra vita per qualcos’altro che non conosciamo. È un esorcismo scritto nella Milano d’estate. Quando non si muove una foglia e dal silenzio può uscir fuori quello che di solito sta muto. Tutti i desideri e tutte le paure. Di essere troppo, di non essere nessuno. Sorrisi, scontri e incontri esaltanti. Brutture e imperfezioni guardate con ironia. Difetti che diventano poesia. E così si scaccia per un po’ il terrore quotidiano di vivere a metà, di essere scontati.
Di questa commedia si può dire tutto quello che di solito innervosisce: è lieve, è romantica, è banale. Le persone che la popolano sono normali. Ma questo è il suo bello. Che è tragicamente fuori posto».
Due famiglie incrociano i destini a causa dei figli quindicenni, Anna e Filippo, caparbiamente decisi a sposarsi. Un banale incidente stradale catapulta il protagonista-narratore, Ezio, al centro di questo microcosmo, nel quale i genitori possono essere saggi, ma anche più sballati dei figli, le madri nevrotiche e coraggiose, le nonne inevitabilmente svampite, le figlie bellissime e i cani cocciuti e innamorati. In poche parole, due famiglie di oggi, che sfuggono alle catalogazioni e alle etichette, in evoluzione continua, in equilibrio precario, vive, felici e confuse.
Ezio ha trentuno anni, sostiene di non avere grossi problemi (ma soffre di mal di schiena e di crisi di panico), è ricco (perché ha ereditato dal padre il brevetto della pallina per lavatrice), è stato mollato dalla fidanzata: «Il momento era arrivato. L’incidente aveva rotto qualcosa e non parlo solo di alcune mie ossa... da quel momento in poi non ho mai più avuto voglia di stare da solo, di mangiare da solo, di vivere da solo».
Un grande schermo, che assumerà toni e colori diversi, domina la scena, organizzata per luoghi deputati che ricostruiscono gli ambienti di una casa. Alla fine di ogni replica i mobili e gli oggetti (divani, tavolo da pranzo, lampade ecc.), che sono pezzi unici forniti da Trediciottanta, potranno essere acquistati dagli spettatori e, nel caso di vendita, saranno sostituiti rinnovando ogni volta l’ambientazione.