In questo nuovo Don Giovanni Raffaele Gangale interpreta il protagonista e cinque attrici si spartiscono gli altri personaggi (compresi quelli maschili di Sganarello, dei cognati Don Carlo e Don Alonso, del creditore, dell’eremita e del Commendatore), entrando e uscendo dai ruoli, come se gli stessero stretti o ne fossero prigionieri. I rapporti tra i personaggi acquistano, in questo modo, sfumature insolite e la storia si apre a nuovi significati: il rinnovarsi dei travestimenti, gioco teatrale in cui la coppia molieriana Don Giovanni e Sganarello eccelle, nello spettacolo di Taddei si moltiplica e si arricchisce. Condannato a interpretare un rituale, com’è giusto per un teatrante della sua specie, Don Giovanni non può sottrarsi alla sua pena: messo a riposo in una cassa, deve riapparire ogni volta in scena, come un dream man dalla torta, per interpretare la sua storia edificante, quella dell’empio punito, e poi sprofondare nel suo inferno di circostanza. In un’arena circondata da un grande e misterioso sipario si materializzano le vittime del seduttore e traspaiono i luoghi delle sue avventure: l’atmosfera è quella di una festicciola di sapore metafisico che si svolge nell’aldilà. Una festa in maschera (nella migliore tradizione del personaggio) che, essendo animata da sole donne, ha anche qualcosa del baccanale.
Ma, con un piccolo calembour, questo party è anche diventato un rock party: perché il rock è, nel mondo contemporaneo, l’energia liberatoria della disobbedienza, la forza della trasgressione, o, da altri punti di vista, la dissolutezza dei valori, la macchina comunicativa, lo star-system, il bluff.
Tutte cose che hanno molto a che fare con il nostro protagonista.
Risultano quindi più che appropriate, anche per questo spettacolo, le parole di Cesare Garboli: «Don Giovanni è quello che si direbbe oggi un ‘demistificatore’, un corpo antiteatrale inserito in un sistema teatrale, un anticorpo che denuncia la falsità e il pregiudizio, la finzione e l’ipocrisia di un sistema di cui, tuttavia, egli fa parte integrante. In mezzo agli altri, siano gli altri il padre trombone, i cognati fanatici, la stessa moglie Elvira, grande attrice tragica, e, soprattutto il Povero, così schiavo di un’ipocrisia sociale da pregare il cielo perché faccia piovere sul datore dell’elemosina proprio le ricchezze che si dovrebbero sfuggire, Don Giovanni sembra il solo a vivere secondo realtà e non secondo ‘finzione’».
Andrea Taddei, con questo nuovo spettacolo coprodotto con Palkettostage, torna nella stagione di Teatridithalia dove in passato ha già proposto, in qualità di regista, scenografo e costumista, Gloria, Zozos, La bisbetica domata, un allestimento per interpreti maschili, Chi ruba un piede è fortunato in amore di Dario Fo, andato in scena con grande successo al Teatro Portaromana nel 2001.