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Al Teatro dell’Elfo dal 6 al 29 giugno 2006
Come gocce su pietre roventi
commedia pseudotragica
di Rainer Werner Fassbinder
uno spettacolo di Ferdinando Bruni
traduzione di Luisa Gazzerro Righi
con Ferdinando Bruni, Ida Marinelli, Elena Russo Arman, Nicola Russo
suono di Jean Christophe Potvin
luci di Nando Frigerio
una produzione TEATRIDITHALIA

Quarto incontro tra l’Elfo e il teatro di Fassbinder, Come gocce su pietre roventi concentra, in una sorta di esperimento da laboratorio, i temi del potere, dello sfruttamento e della sopraffazione all’interno del rapporto amoroso, interpretandoli come il primo nucleo dello sfruttamento su vasta scala dell’uomo sull’uomo. L’amore non è mai una faccenda privata per questo autore tedesco che riesce a coniugare la più lucida oggettività con una passione densa e rabbiosa.

Il testo ci racconta, col distacco di chi osserva prodursi un fenomeno chimico, l’incontro fra Leopold, un fatuo e meschino uomo di mezza età, e Franz, giovanissima vittima designata, caduta senza lottare nella rete della seduzione. Come in una parabola, che coinvolge via via anche Anna, la fidanzatina di Franz, e Vera, antica vittima del fascino di Leopold, assistiamo ai rituali disgregatori di una convivenza fatta di giochi di potere e di perfidie sottili, finché, nel finale vagamente surreale, Franz sempre più debole, sempre più pallido finirà per soccombere.

E a una favola gotica, percorsa continuamente da un’ironia acidula e a tratti anche molto divertente, somiglia questa vicenda, dove un banale incontro notturno fra due uomini in cerca di sesso assume i contorni inquietanti di un racconto di vampiri, che si consuma in un appartamento freddo come la morte. Chi entra nella tana di Leopold non ne riesce più a uscire, vittima di un licantropo piccolo-borghese che si dà “una risciacquatina rapida ai denti”, come un igienista un po’ ossessivo, prima di raggiungere a letto le sue vittime.

DALLA RASSEGNA STAMPA:

Leopold è un uomo solo al comando, magnifica figura di un melodramma leggero che aspira alla tragedia. La scena è lo specchio della sua anima, ed è l’anima dello spettacolo: un appartamento riassunto in una passerella lucida e nera, circondata da luci al neon, buona per farci un cabaret della crudeltà. Un’ora e un quarto di parole come azioni. Parole come gocce che cadono implacabili sul disagio, il pudore, il desiderio, la passione, la vergogna, la paura, diventate pietre roventi.

Gian Luca Favetto, Diario

Costruita come un melodramma nero, ma brechtiana nello sguardo implacabilmente ironico, scandita dalle romantiche musiche di Ciakovskij, l’opera si snoda come un match di boxe suddiviso in scene che si giocano su di una pedana bianca specchiante, circondata su tre lati dal pubblico e delimitata da luci al neon, dove i quattro personaggi rappresentano la perdita del bene più prezioso dato all’uomo, la sua dignità, con la discesa senza scampo nella mortificazione più abietta.

Maria Grazia Gregori, l'Unità

Fassbinder, stupefacente a dirsi, scrisse Come gocce su pietre roventi nel 1965. Aveva poco più che vent’anni. In Italia lo mise in scena Mattolini in un’edizione non priva di qualche indulgenza, come se da Fassbinder ci si sentisse protetti. Nonostante l’Elfo sia a Fassbinder da sempre fedele, questa protezione Bruni la rifiuta. Egli oggi mostra, del grande tedesco, tutta la genialità. Un tristo uomo d’affari seduce uno sprovveduto ragazzo. Dopo sei mesi i due vivono come una coppia piccolo-borghese che abbia consumato il proprio legame in anni e anni di prossimità. Ma qui scatta il meccanismo della crudeltà, a quest’altezza si rivela la politicità di Fassbinder. Ogni rapporto è un rapporto di potere. (…) Così rivelando il vero tema, l’equivoco degradarsi del sentimento in sentimentalismo, l’unica possibilità di riscatto (di auto-smascheramento) concessa alla sentimentalismo nell’annientamento di sé, cioè della persona che ne è portatrice, quasi fosse un virus, una peste.

Franco Cordelli Corriere della Sera